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01/08/2011 -  Buone Ferie a Tutti!

Santilli Studio Legale va in ferie!!! Ecco qui gli orari di apertura per il mese di Agosto:

da 01.08 a 05.08: ore 9,00 - 12,30

da 08.08 a 26.08 : chiuso

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25/07/2011 -  No dispositivi protezione: datore responsabile

La Corte di Cassazione ha confermato la pena inflitta ad un datore di lavoro per il delitto di lesioni personali colpose gravi (durata della malattia superiore a quaranta giorni), in relazione all’art. 583, comma 1, n. 1, c.p., posto in essere mediante condotta omissiva in danno di un proprio lavoratore dipendente. I giudici hanno ritenuto che le lesioni personali gravi, nella fattispecie ustioni di secondo grado, che il cuoco di un ristorante ha riportato dopo essere scivolato sul pavimento della cucina nell’atto di riempire una lavastoviglie con una pentola d’acqua bollente, e senza indossare calzature antiscivolo, siano penalmente addebitabili al datore di lavoro per omissione colposa specifica.

 

L’imputato ha sostenuto la propria difesa argomentando che la condotta del lavoratore fosse da considerarsi “abnorme ed imprevedibile”, nonché che il datore non fosse presente al momento dell’incidente e quindi la condotta omissiva e negligente non poteva essergli addebitata, in virtù del principio di effettività. La difesa ha sostenuto inoltre che qualora il lavoratore avesse indossato le scarpe antiscivolo, si sarebbe comunque cagionato le ustioni poiché la prescrizione antinfortunistica ha lo scopo di prevenire il rischio di scivolare, non quello di riportare ustioni.

La Cassazione, rigettando integralmente le censure sollevate dall’imputato, non ha ritenuto sussistere alcun vizio di motivazione, confermando per implicito la ricostruzione del fatto prospettata dai due giudici di merito, ritenendo plausibile pertanto che il cuoco fosse caduto con in mano la pentola d’acqua bollente destinata ad essere versata nella lavastoviglie e non che stesse scolando la pasta, come sostenuto dall’imputato. Circa l’elemento soggettivo della colpa addebitata dal datore di lavoro, si è rivelata determinante la mancata fornitura al cuoco delle scarpe antisdrucciolevoli, dotate di valenza antinfortunistica con riferimento alle mansioni svolte in un contesto scivoloso, qual è la cucina di un ristorante.

La Cassazione ha infine confermato il risarcimento del danno morale in favore della moglie del cuoco costituitasi parte civile. La stessa ha infatti subito sofferenze e patimenti a causa del grave infortunio occorso al marito.(fonte: Altalex, 25 luglio 2011)

 

04/07/2011 -  Vietate le telecamere nei condomini

Il condomino non ha possibilità di installare un impianto di videosorveglianza per riprendere aree condominiali comuni.E non può farlo nemmeno nel caso in cui lo scopo di tale installazione sia la propria sicurezza, messa in pericolo in seguito ad alcuni episodi di furti e di effrazioni.Così il Giudice del Tribunale di Varese, nella persona del Dr. Buffone, si è espresso con la decisione 16 giugno 2011, n. 1273, il quale ha precisato che nel silenzio della legge, il condomino non ha nessun potere di installare (per sua sola decisione) le telecamere in ambito condominiale, al fine di riprendere gli spazi comuni o addirittura spazi che siano esclusivi degli altri condomini.

Il Giudice va anche oltre precisando che nemmeno il condominio ha la potestà normativa per installare le telecamere, eccezion fatta per la ipotesi in cui una simile decisione venga deliberata all’unanimità da tutti i condomini, in quanto, in tal caso, “si perfeziona un consenso comune atto a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti”.I problemi che si possono rilevare in assenza di una specifica norma in tal senso (ossia le videoriprese in condominio) hanno portato il Garante della privacy a sollecitare l’intervento del legislatore al fine di risolvere alcune questioni come il fatto di quale possa essere l’utilizzo fatto dalle videoriprese acquisite dal singolo proprietario, o ancora che limiti possa incontrare la videorirpresa rispetto a soggetti considerati deboli quali l’incapace o il minore.Come si rileva e si legge testualmente nella stessa sentenza che qui si commenta "almeno in sede penale, la questione è stata risolta in senso affermativo. La Suprema Corte di Cassazione, infatti (Cass. pen. Sez. V, sentenza 21 ottobre – 26 novembre 2008, n. 44156 in Dir. Pen. e Processo, 2009, 9, 1125), ha affermato che “non commette il reato di cui all'articolo 615-bis del codice penale (interferenze illecite nella vita privata) il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall'intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell'edificio (come un vialetto e l'ingresso comune dell'edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini” specie se i condomini stessi siano “a conoscenza dell'esistenza delle telecamere” e possano “visionarne in ogni momento le riprese".

Anche e soprattutto in considerazione di tale assenza normativa, il Giudice,nella sentenza de qua ha precisato che il periculum in mora è in re ipsa, in quanto si tratta di diritti fondamentali e della personalità che ad ogni lesione si consumano senza possibilità di ripristino dello status quo ante.(fonte: Altalex, 30 giugno 2011)

 

20/06/2011 -  Banche:clienti sicuri con tracciamento operazioni

Dati dei clienti più sicuri e al riparo da accessi non autorizzati e intrusioni indebite negli istituti bancari. Il Garante privacy ha fissato le regole alle quali dovranno attenersi banche e Poste Italiane spa (relativamente all'attività bancaria e finanziaria) per "blindare" il sistema informativo e garantire un corretto trattamento dei dati dei correntisti.

Il provvedimento generale tiene conto di numerose istanze pervenute al Garante, di accertamenti ispettivi effettuati tra il 2008 e il 2010 presso le maggiori banche o gruppi bancari e degli esiti di una ulteriore attività di rilevazione svolta in collaborazione con Abi che ha coinvolto 441 banche. Alcuni clienti, in particolare, avevano segnalato che i loro dati erano stati oggetto di accessi indebiti, presumibilmente da parte di dipendenti, e comunicati a terzi che li avevano poi utilizzati per scopi personali, in genere, in cause di separazioni giudiziali e in procedure esecutive (ad es. pignoramenti presso terzi).

In assenza di una normativa che obblighi le banche a tracciare tutte le operazioni l'Autorità ha ritenuto di prescrivere agli istituti bancari l'adozione di rigorose misure.

Ogni operazione di accesso ai dati dei clienti (sia che comporti movimentazione di denaro o sia di semplice consultazione), effettuata da qualunque figura all'interno della banca, dovrà essere tracciata attraverso una serie di elementi: il codice identificativo del dipendente; la data e l'ora di esecuzione; il codice della postazione di lavoro utilizzata; il codice del cliente ed il tipo di rapporto contrattuale "consultato" (numero del conto corrente, fido, mutuo, deposito titoli). In questo modo la banca saprà sempre chi e quando ha avuto accesso ad un determinato conto corrente o ha effettuato operazioni. I file di log di tracciamento delle operazioni, comprese quelle di semplice consultazione, dovranno essere conservati per un periodo di almeno 24 mesi.Le banche, inoltre, dovranno prevedere l'attivazione di alert che individuino comportamenti anomali o a rischio (es. consultazioni massive, accessi ripetuti su uno stesso nominativo).

Almeno una volta l'anno la gestione dei dati bancari dovrà essere oggetto di un'attività di controllo interno da parte degli istituti, per verificare la rispondenza alle misure organizzative, tecniche e di sicurezza previste dalla normativa vigente. Il controllo, adeguatamente documentato, dovrà essere eseguito da personale diverso da quello che ha accesso ai dati dei clienti. E verifiche sulla legittimità e liceità degli accessi, sull'integrità dei dati e delle procedure informatiche dovranno essere effettuate anche a posteriori, sia a campione sia a seguito di allarme.Alle banche è stato infine raccomandato di comunicare al cliente eventuali accessi non autorizzati al proprio conto e di rendere note al Garante eventuali violazioni di particolare rilevanza (per quantità, qualità dei dati, numero dei clienti).(Garante della Privacy, comunicato stampa 13 giugno 2011)

 

16/05/2011 -  Cane che abbaia?Disturbo alla quiete pubblica

I proprietari che lasciano abbaiare i propri cani sono suscettibili di contravvenzione per disturbo della quiete pubblica. Lo stabilisce la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 2 dicembre 2010 - 14 gennaio 2011, n. 715 secondo cui se il cane abbaia anche di notte arrecando disturbo ai vicini, ne risponde penalmente il padrone dello stesso.La Suprema Corte precisa infatti che il proprietario di un cane deve evitare che sia arrecato disturbo ai vicini di casa, impedendo i rumori notturni molesti. Diversamente risponderà del reato previsto e punito ex 659 c.p., "Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone".La Sentenza si riferisce ai casi in cui gli amici a quattro zampe si dimostrano troppo vivaci e il loro abbaiare va oltre la normale tollerabilità. In tal caso secondo la Suprema Corte il disturbo c’è sempre e non solo in un contesto cittadino, ma anche se il cane è tenuto in aperta campagna.Il c.d. “danno da latrato” era già stato riconosciuto dalla Prima sezione penale della Corte sentenza 29375/2009 che confermava una multa di 200 euro per disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone con tanto di risarcimento del danno ai vicini che per lungo tempo avevano dovuto sopportare il continuo abbaiare dei cani accuditi da una cinofila. Nelle motivazioni della sentenza si leggeva che gli animali spesso abbaiavano anche di notte disturbando due famiglie che vivevano nella zona. Gli ululati si sentivano anche a distanza di 100 metri.La difesa del proprietario degli animali,  videnziando il proprio amore per gli animali che accudiva gratuitamente, sosteneva invece che trovandosi in aperta campagna i vicini non potevano lamentarsi La Suprema Corte, si  pronunciava affermando che l’amore per gli animali “non discrimina la condotta”. Il fatto poi che ci si trovasse in campagna “resta irrilevante poichè anche le persone che abitano in campagna hanno diritto al rispetto del riposo e chi vuole tenere dei cani nei pressi di altre abitazioni, sia in città che in campagna, deve usare gli accorgimenti necessari per evitare il disturbo dei vicini”.Quanto al criterio della “normale tollerabilità” la Corte scrive che “Il criterio va riferito alla media sensibilità delle persone che vivono nell’ambiente ove i rumori fastidiosi vengono percepiti, mentre e’ irrilevante la eventuale assuefazione di altre persone che abbiano giudicato non molesti i rumori”. L’illecito consiste, quindi, nel disturbo alla quiete pubblica, ed è caratterizzato da un elemento psicologico che consiste nella natura volontaria della condotta posta in essere, cosa che può essere desunta dalle circostanze oggettive del fatto: non occorre l'intenzione di arrecare fastidio al riposo o alle altre attività delle persone (Cass., Sez. I, 26/10/1995, n. 11868), mentre elemento essenziale della fattispecie di reato in esame è l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non già l’effettivo disturbo alle stesse (Cass., Sez. I, 13/12/207, n. 246)Nella predetta sentenza, la Suprema Corte ha specificato che la funzione dell'indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di valutare l’attendibilità dei risultati delle prove bensì quella, di verificare se gli elementi probatori su cui si fonda la decisione siano stati valutati secondo logica in modo da giustificare le conclusioni finali. Pertanto, “ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un'altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02; Cass. 6.05.03).”Infine, per quanto riguarda i requisiti del reato, la Prima Sezione Penale ha così concluso:“per la sussistenza dell'elemento psicologico della contravvenzione di cui all'art. 659 c.p., attesa la natura del reato, è sufficiente la volontarietà della condotta desunta dalle obbiettive circostanze di fatto, non occorrendo, altresì, l'intenzione dell'agente di arrecare disturbo alla quiete pubblica (Cass., Sez. I, 26/10/1995, n. 11868) mentre elemento essenziale della fattispecie di reato in esame è l'idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non già l'effettivo disturbo alle stesse (Cass., Sez. I, 13/12/2007, n. 246) di guisa che rispondono del reato di cui all'art. 659 comma 1 c.p. gli imputati per non aver impedito, nonostante le reiterate proteste delle pp.ll., il molesto abbaiare, anche in ore notturne, dei due cani di loro proprietà, custoditi nel cortile della loro abitazione (per una fattispecie simile: Cass., Sez. 1^, 19/04/2001).” (fonte: overlex)