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20/12/2010 -  Edilizia popolare: no al trasferimento ai figli

Possedere altri immobili di valore superiore rispetto a quanto stabilito blocca l'assegnazione dell'alloggio popolare e il divieto si estende anche ai parenti del titolare del diritto.  Il ricorso volto all'annullamento della determinazione dirigenziale con la quale il comune ha disposto la decadenza dall'alloggio di edilizia economica popolare, motivato sul silenzio serbato dall'amministrazione in relazione all'istanza di subentro del figlio, è da bocciare, se viene accertata la proprietà, da parte del ricorrente, di due immobili per un reddito complessivo superiore all'importo massimo consentito per ottenere l'assegnazione dell'alloggio popolare. Il silenzio opposto dal comune è dunque legittimo e la  cessazione del requisito per l'assegnazione di una casa popolare esclude che il ricorrente possa contestare ulteriori vicende inerenti allo stesso alloggio. Questo è quanto ha deciso il Tar del Lazio con la sentenza n. 36525 dello scorso 14 dicembre. (fonte: Guida al diritto)

13/12/2010 -  Rapporto tra datore di lavoro e lavoratori

Dire al capo "non mi rompere il c...." è legittimo secondo la Corte di Cassazione: "assoluzione piena", quindi, per la frase incriminata.Così, infatti, i giudici della Cassazione hanno stabilito nella sentenza 16 novembre 2010, n. 23132.I giudici di legittimità hanno, infatti, provveduto alla reintegra nel posto di lavoro del dipendente che si era riferito ad un’azionista della società per cui lavorava (non essendo, peraltro, a conoscenza del ruolo di tale soggetto) apostrofandolo con una parolaccia durante una lite “di lavoro” (quindi in un clima di tensione e conflittualità), in quanto non può essere ignorato il fatto della mancanza “di precedenti addebiti nei confronti del dipendente che non aveva mai avuto altri episodi di intemperanza in tal senso”.L’inconsapevolezza, quindi, durante una lite lavorativa, con la pronuncia di parolacce, del prestatore di lavoro, riguardo alla posizione di spicco del soggetto “offeso” rende scusabile il suo comportamento determinando l’illegittimità del licenziamento posto in essere dall’azienda proprio a causa dello stesso.La ricostruzione della vicenda “giustificativa” del comportamento può così essere sintetizzata.Il dipendente il giorno dell’evento “incriminato” era già stato “provato da tre ore di colloqui con gli autisti dell’azienda, i quali si erano rifiutati di rendere prestazioni di lavoro straordinario, vanificando, in tal modo, tutti gli sforzi intrapresi dal dipendente tesi all’organizzazione del servizio.La protrazione del colloquio telefonico (per oltre 15 minuti) con l’azionista della società (del quale lui, tra l’altro ignorava il ruolo di spicco) la gravità della situazione organizzativa nel quale si trovava, sfociata, altresì, nella interruzione del servizio di trasporto, avevano portato alla “concitazione dei toni” assunti durante lo stesso colloquio.Il soggetto licenziato in tronco dall’azienda, era stato reintegrato dalla Corte d’Appello, anche sulla base che non vi era un rapporto di subordinazione diretta con la persona “offesa”.Da qui il ricorso in Cassazione da parte della società, al fine di dimostrare la gravità del comportamento assunto dal dipendente, per mancanza di rispetto nei confronti del “diretto superiore” e socio di riferimento della stessa azienda.La Corte, però, respinge il ricorso evidenziando, altresì, che il dipendente non aveva “certamente percepito che quel soggetto facesse parte dell’assetto gerarchico della società”.Nella sentenza in oggetto che qui si commenta si legge testualmente che …….”in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito (per tutte Cass. 22 marzo 2010, n. 6848) il cui apprezzamento, che deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta, è sottratto a censure in sede di legittimità se la relativa valutazione è sorretta da adeguata e logica motivazione (per tutte Cass. 27 settembre 2007, n. 2021)”. (fonte: Altalex)

29/11/2010 -  No assegno a figlio maggiorenne anche se precario

Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 22 novembre 2010 n. 23590

Il genitore non è tenuto a versare all'ex coniuge l'assegno per il figlio maggiorenne convivente se il giovane ha avuto esperienze lavorative anche a tempo determinato. Lo ha affermato la prima sezione civile della Cassazione con la sentenza 23590/2010 secondo la quale il diritto del coniuge separato di ottenere dall'altro coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato inziato a espletare un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un'adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, senza che assuma rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l'effetto di renderlo privo sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno.

22/11/2010 -  Sì ad investigatori per controllo dei dipendenti

Corte di Cassazione - Sez. Lavoro - Sentenza n. 23303 del 18 novembre 2010

Legittimi i controlli effettuati da investigatori privati, ingaggiati dal proprietario di un supermercato, al fine di individuare eventuali illeciti operati dal personale addetto al punto vendita.
A parere della Suprema Corte (sentenza n. 23303 del 18 novembre) le
norme poste dagli artt. 2 e 3 della legge n. 300/1970 a tutela della libertà e dignità del lavoratore, atte a delimitare la sfera di intervento delle persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi, con specifiche attribuzioni nell'ambito dell'azienda (rispettivamente con poteri di polizia giudiziaria a tutela del patrimonio aziendale e di controllo della prestazione lavorativa), non escludono il potere dell'imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti e ciò indipendentemente dalle modalità di controllo, che può avvenire anche "occultamente". 
Sono dunque legittimi, come nel caso di specie, i controlli posti in essere da dipendenti di un'agenzia investigativa i quali, nell'operare come "normali clienti", verifichino l'eventuale appropriazione indebita di denaro da parte del personale addetto alla cassa, limitandosi semplicemente a presentare alla cassa la merce acquistata, a pagare il relativo prezzo e constatare la registrazione della somma incassata dal cassiere. (Fonte: lex24 - il sole 24 ore)

15/11/2010 -  Genitore non affidatario: diritto di visita figli

Corte europea dei diritti dell'Uomo - Sentenza 2 novembre 2010 - Ricorso n. 36168/09

Ancora una condanna per l'Italia che non rende esecutive le sentenze che dispongono il diritto di visita ai figli in favore del genitore non affidatario. La corte di Strasburgo ha accolto il ricorso di padre costretto dopo il divorzio a chiedre continuamente l'intervento del tribunale dei minori per aver incontrato sempre maggiori difficoltà ad esercitare il suo diritto di far visita, ogni 15 giorni, al figlio che, con la
separazione, era stato affidato alla ex moglie. Il giudice interno competente aveva dato ragione all'uomo e interessato i servizi sociali che, vista la difficile situazione psicologica del bambino e i rapporti tra i due ex coniugi, avevano il compito di assicurare le visite. Un diritto che non è però mai stato rispettato.Nella sentenza, la Corte dei diritti dell'uomo ha riconosciuto la delicatezza della situazione e le difficoltà
incontrate dalle autorità nel far rispettare le proprie decisioni. Tuttavia ha constatato che «tutte le autorità coinvolte non hanno agito tempestivamente». Inoltre, i giudici europei hanno sottolineato che le autorità hanno adottato misure «automatiche e stereotipate senza adattarle al caso specifico, e che di fatto non hanno assicurato all'uomo di poter effettivamente godere del suo diritto a vedere il figlio». Al padre separato sono stati anche riconosciuti 15 mila euro di danni morali che, con la condanna, lo stato italiano dovrà pagare. (Fonte: guida al diritto)